“Oltre e un cielo in più” è il libro dell’autore Luca Sciortino, scrittore e giornalista che vogliamo farvi conoscere
Luca Sciortino, scrittore del libro “Oltre e un cielo in più” edito da Sperling&Kupfer, racconta di un viaggio in cui si va alla scoperta di luoghi incontaminati. Dalla Scozia al Giappone Luca riesce a portare il lettore in posti lontani. Si ripercorrono le tappe di un viaggio al di là dell’immaginazione. Un percorso dove il chi e il come diventano le parole chiave di un’avventura lunga diecimila chilometri. Incontrare persone nuove e conoscere paesaggi capaci di rimanere impressi nella mente per sempre. Il libro di Luca Sciortino è un insieme di immagini vivide in cui ritrovarsi protagonisti pagina dopo pagina. In vendita su Amazon e in libreria “Oltre e un cielo in più” è un vero e proprio compagno viaggio dall’incedere dettato dalla curiosità. Quest’intervista all’autore è un tuffo nel libro per riuscire a venire a contatto con mondi lontani.
“Oltre e un cielo in più” racconta di un viaggio nato dalla necessità di allontanarti dalla tua quotidianità, perché consigli di leggerlo e a chi?
“Oltre e un cielo in più” è il racconto fedele di un viaggio dalla Scozia al Giappone attraverso le steppe dell’Asia Centrale con tutti i mezzi possibili eccetto l’aereo. “Oltre” allude all’idea di andare sempre avanti verso Oriente; “un cielo in più” allude all’idea di raggiungere un altro Paese o un altro luogo. Supponi di percorrere una strada che attraversa le brughiere scozzesi e dire: “voglio continuare ad andare oltre e sempre più oltre verso Oriente, fin dove sarà possibile”. E supponi di chiederti: “Quali persone incontrerò lungo la via? Come cambieranno le culture e i paesaggi? Dove comincia l’Asia?”.
Ecco: “Oltre e un cielo in più” interesserà tutti coloro i quali vogliono intraprendere questo viaggio e si pongono queste stesse domande. Infatti, chi legge il libro percorre oltre diecimila chilometri in linea d’aria attraverso paesaggi mozzafiato e culture diverse dalla propria, parla con le persone che ho incontrato, vede le cose che ho visto. Comunque, il libro è anche molto più del racconto di un viaggio attraverso posti poco conosciuti. Chi lo legge riflette sul senso del viaggio e su come dovremmo viaggiare. Siccome si tratta di un lungo peregrinare in cui la strada si fa andando, in cui la traiettoria è determinata sia da fattori contingenti sia dal desiderio di raggiungere una meta, il libro invita a riflettere sulla vita stessa come un viaggio in cui i fattori contingenti giocano un ruolo cruciale. Infine, il libro stimola a mettersi in cammino perché non siamo una specie fatta per vivere fra le pareti di un ufficio. Almeno una volta nella nostra esistenza dovremmo fare un’esperienza nomade come in fondo è stata la mia.
Viaggiare, vivere scoprendo popoli e culture diverse. Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro?
Quando vai da una parte all’altra del mondo, vivi con pastori nomadi delle steppe mongole, parli con i monaci buddisti, attraversi parte della Siberia…beh accumuli un tale tesoro di esperienze che senti il bisogno di donarle ad altri. Altrimenti quelle esperienze vivono e muoiono con te. Senti il bisogno di dire agli altri: mettetevi in cammino anche voi almeno una volta nella vita, e senza preparazione alcuna. Andate, e tornerete più ricchi di prima perché è questa la vera ricchezza, quella di vedere altri mondi, sia in senso materiale sia spirituale. Perché viaggiare é mettersi in altre prospettive mai considerate prima, capire che esistono molte più cose di quelle che si immaginavano.
Viaggiare senza definire le tappe del proprio incedere non è una scelta facile da compiere. Cosa diventano in quest’ottica oltre diecimila chilometri con una valigia in mano?
Ho percorso più di diecimila chilometri in linea d’aria non tanto per fare un record ma perché quello era il modo migliore di vedere cambiare le culture. Sono partito da un estremo dell’Europa, una delle anime della cultura Occidentale e sono arrivato a un estremo dell’Asia, una delle anime dell’Oriente. Sulla strada ho visto modi diversi di pregare, di pensare, di interagire con il proprio ambiente. Ho potuto vivere in molti modi differenti e ogni volta ho capito qualcosa di più. Diecimila chilometri rappresentano il percorso per diventare un poco meno ignorante e un poco più tollerante di com’ero prima.
Ritrovarsi grazie al viaggio e conoscersi nel profondo. Qual è il tuo cielo in più?
Ogni luogo ha un’anima. Ogni volta che riuscivo ad andare più avanti verso il Giappone raggiungendo un nuovo Paese, quello era un cielo in più sotto il quale vivere esperienze completamente nuove. In senso lato, il cielo in più è una nuova prospettiva, un nuovo orizzonte mentale e culturale. Andare sotto molti cieli ti aiuta a capire di più cosa vuol dire essere “umani“, cioè capire ciò che non cambia ed è comune a tutti gli uomini sulla Terra.
Odisseo, l’eroe multiforme, polutropon. Nella tua esperienza, ti sei sentito come lui?
Solo in un senso dantesco: per il grande poeta, Ulisse non cercava la virtù nell’osservanza delle leggi divine e disconosceva i limiti posti alla conoscenza dell’uomo. Andava impavido verso ciò che non conosceva. Il mio libro è un inno a questo coraggio di violare gli schemi imposti dalla società; è un invito a lasciare tutto per un po’ e mettersi in cammino almeno per un tratto della propria vita; è un incitamento a conoscere per curare il proprio spirito.
Il giornalista e scrittore Dino Basili dice: “Il viaggio perfetto è circolare. La gioia della partenza, la gioia del ritorno”. Ora che sei tornato, con quali occhi guardi la quotidianità dalla quale ti sei allontanato?
Il cerchio ha da sempre rappresentato la perfezione, perfino in culture differenti. Nel Paradiso di Dante era l’immagine di Dio, nel Buddhismo è la rappresentazione simbolica del Cosmo. E’ naturale pensare il viaggio che si chiude in se stesso come quello perfetto: lasciare la propria terra, raccogliere nuove esperienze, tornare e riflettere su quelle. Le traiettorie aperte sono dei profughi, dei diseredati, dei disperati, dei vagabondi, dei senza radici, dei nomadi. La mia simpatia va a queste ultime: nel mio viaggio ho incontrato tante di queste persone, a partire dai profughi nel campo di Calais in Francia, ora smantellato, e dei pastori mongoli e kazaki.
Tuttavia io sono tra i fortunati che sono tornati a casa dopo un lungo peregrinare. Sono tornato cambiato. Mi sono sempre sentito stretto in Italia e nemmeno vivere all’estero era mai bastato a placare la mia inquietudine di fondo. Al termine di questo viaggio, dopo chilometri e chilometri attraverso popoli che ancora lottano con i loro cani contro i lupi, dove quasi non esistono servizi igienici, ho imparato ad amare di più l’Europa e i suoi valori. Mi sento anche più tollerante verso gli altri, perché riesco a mettermi più facilmente nel loro punto di vista.
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